Il Ricordo di un Uomo

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Le righe di oggi purtroppo non sono dedicate a descrivere un luogo, una situazione o un’esperienza, ma sono tutte rivolte al ricordo di un Uomo.

Un Uomo che con il suo affetto, la sua allegria e la sua ospitalità ci ha permesso di vivere davvero un periodo unico durante il nostro viaggio.

Che oltre che a spendersi continuamente per coinvolgerci e farci sentire a casa, ha dedicato parte del suo tempo per insegnarci e spiegarci i pregi e difetti del suo amato e odiato paese, denunciandone quelle regole tribali che troppo spesso ancora ne guidano il suo “inquieto” vivere.

Un Uomo scomodo per le sue scelte, perché aveva deciso di non chiudere gli occhi, di non girarsi dall’altra parte, ma di vedere e affrontare la povertà, la fame, l’abbandono e il disagio.

Che nonostante le tradizioni e le usanze aveva scelto come moglie una nostra connazionale, l’incredibile Sandra, con la quale ha ideato e realizzato un progetto unico, The Shelter – Progetto India, nel villaggio di Darbaripur, alle porte di New Delhi, nel quale ci hanno ospitato e permesso di conoscere i loro 19 piccoli tesori.

Questo era Saji, appunto, un Uomo speciale…purtroppo un mese fa, come dice Sandra, il loro sogno si è interrotto in anticipo i modo imprevisto, ma il suo ricordo rimarrà nei nostri cuori per sempre.

Un abbraccio Sandra, Namaste Saji…

Saji - The Shelter

Per saperne di più:

http://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/2012/08/01/752510-lecco_airuno_marito_volontaria_ucciso.shtml

http://www.indianexpress.com/news/expressway-murder-saji-has-gone-but-his-dream-will-live-on-says-wife/981664/

8 mila persone e 2 euro…

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Soweto Slum

Qui è dura la vita…non per me, ma per le quasi 8 mila persone che vivono nella baraccopoli…è faticoso uscire tutti i giorni di casa e sapere che hai tutta la giornata davanti, per lavorare, lavorare e lavorare, prima di tornare a casa e rivedere la famiglia e finalmente mangiare…200 scellini kenyoti, equivalente di 2 euro, è il salario medio per un operaio che lavora nella cava di fronte a casa nostra per un giorno…

Spaccarsi tutti i giorni per soli 2 euro, sapendo che, tornando a casa, potresti non rivedere i tuoi figli, scappati perché  stufi di questa vita, e ritrovarli ai bordi delle sporche strade della periferia di Nairobi.

Per i ragazzi di strada non è dura trovare da mangiare o trovare una baracca dismessa dove dormire, la cosa dura da accettare è quella di essere un rifiuto della società, sapendo che qua i rifiuti si bruciano ai bordi delle strade perché non diventino troppi e perche non siano visti…

Francesco

14 ore…

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…14 ore per vivere la giornata, con quel poco che la fortuna, per alcuni, o Dio, per altri ha voluto donarti..dalle 7 a.m. alle 9 p.m la gente di Soweto vive, dopo le 9 di sera in strada ci sono solo ubriaconi, che girano blaterando qualcosa contro un mondo che non regala niente, contro un governo bastardo e ladro.

Notte a SowetoLa baracca dove sono andato a mangiare stasera accoglie gli ultimi della baraccopoli, che allo stesso tempo sono gli ultimi della vita, i vecchi saggi col berretto che biascicano solo “kikuio” (dialetto della loro tribù), e che non sembrano molto contenti della mia presenza…a già, dimentico troppo spesso che sono bianco…appena cenato, scappano nelle loro baracche, non perche qualcuno li stia aspettando, ma perche neanche per loro, nati e cresciuti qui, Soweto by night non è un bel posto in cui trovarsi…

E cosi, altre 14 ore sono passate, sempre troppo in fretta, anche se la stanchezza si accumula giorno dopo giorno…come la polvere sul mio letto!

Buonanotte Italia, lala salama Soweto…

Francesco

Una luce rossa da Soweto…

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L’autore di questo racconto è Francesco, un amico in viaggio nelle terre ferite del Kenya, partito zaino in spalla per condividere le sue giornate nella baraccopoli di Soweto…

Soweto Slum

antennedipace.org

” …ed eccomi qua! catapultato in una realtà povera, umile ma bellissima! Amo la vita spartana, mi piace dormire sereno anche se il materasso è sporco e ringraziare di avere almeno quello…scrivendo alla luce rossa della mia torcia penso alla giornata trascorsa, fra le mille cose che ho fatto, ma nel complesso mi accorgo che è stata una gornata tranquilla, qui non si corre mai! sono contento, perche finalmene, ho potuto vedere con i miei occhi e sentire con le mani, quella tanto sognata baraccopoli di soweto…una realta dove nessuno vorrebbe nascere, crescere, o allevare dei figli..cosi, ho girato per le strette strade sterrate delimitate dalle baracche di argilla e lamiera, fra gli occhi grandi dei bambni che continuamente mi urlavano “muzungu” (uomo bianco), degli adulti, un po’ meno contenti della mia presenza, che mi scorgevano dalle baracche mentre io schivavo rifiuti e buche del terreno arido, sabbioso e rosso…un saluto a tutti

Francesco

Ri-Torna’d’i

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Siamo tornati a casa già da un paio di mesi e nel frattempo anche altri amici sono tornati e altri ancora sono partiti.

Il ritorno, come immaginavamo, è stato incredibile…ma superate le prime settimane di abbracci, racconti e festeggiamenti, abbiamo cominciato ad avvertire la fatica…la fatica del tornare a casa, quella stessa fatica che a volte ti fa dire “chi me lo fa fare?”, “perché proprio ora che son finalmente tornato a casa?”, che ti fa venire voglia di risalire sul primo aereo…quella fatica tipica del ricominciare, che anche questa volta abbiamo scelto di sfidare.

A questo scenario si aggiungono gli indelebili ricordi creatisi in giro per quella parte di mondo che abbiamo avuto la fortuna di vedere…gli stessi ricordi che ci imponiamo di non dimenticare, ma che a volte dobbiamo tenere in un cassetto non troppo aperto, per la paura che ci travolgano, per aver la possibilità di controllarli e di riviverli a piccole dosi quando più ne sentiamo la necessità.

E’ così, tra tutti questi pensieri, che ancora una volta cerchiamo di essere un po’ funamboli per rimanere in piedi sul sottile filo che separa immaginariamente il “sono qui” dal “vorrei esser lì”, quel filo che ci porta dal dove eravamo al dove siamo oggi, che ci consente di dare un po’ di continuità anche da casa a quel che è stato il nostro viaggio.

Ripartendo dall’inizio di queste poche righe,  c’è chi è partito con zaino vuoto in spalla e mente aperta, non solo per viaggiare, ma di nuovo per scoprire, per assaporare e soprattutto per condividere, andando a toccare proprio quel continente che a noi è mancato…l’Africa.

Bene…è da lui che vogliamo iniziare ad aprire ad altri “funamboli viaggiatori” questo spazio, dove poter raccontarsi e raccontarci storie e esperienze di viaggio che non si fermano alla descrizione di un luogo, ma che arrivano a toccare immaginazione e cuore…

Un viaggio che non necessità centinaia e centinaia di miglia aeree per essere considerato tale, che non deve per forza essere vissuto nel qui ed ora, ma che può anche appartenere ad un tempo passato per cui valga la pena rispolverare la memoria.

Chiunque voglia condividere qui il contenuto dei propri zaini può farlo scrivendoci semplicemente una mail (vedi contatti).

Namaste, Selamat Datang, See Ya, Hasta Luego, Ciao…

Un viaggio da 233!

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Svegliarsi alla mattina, con la testa piena di pensieri, la pancia in subbuglio e non sapere perché, ma basta guardar fuori dalla finestra, dare un’occhiata al calendario, poi fermarsi un attimo e prendere coscienza che siamo giunti davvero al termine di questo viaggio.

Forse per alcuni il termine viaggio può sembrare riduttivo, un termine comune, ma non per noi, che in questi mesi abbiamo scoperto quanto sia stato “il viaggio” a guidarci, stupirci, emozionarci…noi in fondo abbiamo prenotato voli, abbiamo stilato un itinerario, riempito lo zaino di poche cose per lasciare spazio a quello che avremmo raccolto per strada, poi, tutto il resto è arrivato, con la stessa potenza del vento lasciandoci tanti nodi nei capelli da sgrovigliare, il viso rinfrescato, i polmoni pieni di aria nuova, diversa che a poco a poco è entrata in circolo, capovolgendoci e scuotendoci in ogni modo possibile ma facendoci sentire estremamente vivi, protagonisti autentici… “noi eravamo lì, pronti a captare, ingerire e assorbire tutto ciò che avremmo incontrato”, inconsapevoli del possibile cambiamento che avrebbe recato in noi.

E’ stata un’occasione, un dono, un treno su cui abbiamo scelto di salire, certi della direzione ma non del tragitto. Tragitto che si è articolato in modo autonomo, al di la delle previsioni, del “domani facciamo questo” e dei vari “questo è da vedere!”…certo, tante sono le strade che avremmo potuto percorrere, ma una è stata quella scelta per noi…ogni incontro fatto, ogni giorno vissuto, ogni piatto assaporato, ogni odore nauseato, ogni sguardo incrociato, non era casualmente li pronto ad aspettarci.

Il concludere questa avventura a New York, è stata una scelta dettata da un itinerario geografico su una cartina, ma che ad oggi si è rivelato come qualcosa di più. Qui infatti abbiamo ritrovato i risciò di Calcutta correre come matti in mezzo alla Fifth Avenue, le splendide donne indiane con i sari dai mille colori che davano luce alle giornate più uggiose, il karma e la cura per la natura dei balinesi ritrovato nelle piccole oasi in mezzo alle sculture di cemento, le scarpe inpecorate australiane e il classico “yeap” ad aprire e chiudere ogni frase, e infine la movida e la calorosità dei sud americani, visibile anche qua ad ogni angolo di strada.

Se anche avessimo scelto di programmarlo in ogni suo minimo dettaglio, non sarebbe stato così perfetto. Tutto ha superato ogni aspettativa, ogni nostra previsione e anche la nostra stessa immaginazione…

“Confusi e felici” , con la voglia di raccontarsi e di raccontare, con un piede indietro ed uno avanti, con l’emozione di tornare e un po’ di paura di dimenticare, con la speranza di poter trasmettere anche solo una parte della incredibilità vissuta.

Ci siamo sperimentati nell’esperienza ma senza uscirne stravolti, siamo quelli di prima ma con una mente, una cultura e un pensiero allargati, pensieri che speriamo continuino  a viaggiare oltre i confini.

……Quindi zaini in spalla e direzione CASA!!!!….

Marco e Vera sul Washington Bridge

…..Ma non pensate che sia finita qui….

Backstage!

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Come tutti sappiamo dietro le quinte di ogni palcoscenico c’è di bello e c’è di brutto, ma per scoprirlo bisogna alzarsi dalla sedia dello spettatore, ed entrare nel vivo di ciò che accade nello spettacolo.

Questo è quello che è successo un po’ a noi. Passate le prime settimane e iniziata la scuola di inglese, abbiamo cominciato a cambiare ritmo, a smettere di camminare con la testa per aria rischiando ogni volta di  sbattere contro qualcosa o qualcuno perché incantati dalla maestosità degli interminabili grattacieli.

Così abbiamo iniziato a scoprire una New York che non dorme mai, che non spegne mai le luci, dove tutto va alla velocità della luce, dove la gente calpesta gli stessi centimetri di marciapiedi tutti i giorni con la sua cup di caffè in una mano, la 24 ore nell’altra e il new york times sotto il braccio.

Brooklyn bicicletteTutto gli dice “fermati”, ma loro non possono fermarsi perché lo show deve andare avanti, perché gli angoli dei marciapiedi devono riempirsi di chioschi di hot dog e pretzel, perché le biciclette dei giovani imprenditori dandy di Brooklyn devono continuare a sfrecciare sul famoso ponte in direzione Manhattan schivando le frotte di turisti distratti, perché la 5th o la 6th avenue senza la classica fila interminabile di taxi non sarebbero lo stesso…e mentre la città si prepara al nuovo giorno, noi ci svegliamo per andare ad occupare i banchi di scuola, ed è proprio da qui, tra il present perfect e il simple past che abbiamo potuto conoscer meglio ciò che non sempre c’è dato sapere.

Una nazione che con gli anni ha perso un po’ del suo vecchio smalto, vuoi per la crisi a cui ha dato il “La”, vuoi per le guerre che continua a perpetrare negli anni senza vederne esattamente una fine, e infine che cerca giorno dopo giorno, aggrappandosi anche con le unghie, di resistere e dettar legge in un mondo dove ormai i veri padroni son diventate nuove economie emergenti, dove l’idea democratica e umanitaria non solo non è considerata ma è anche calpestata.

Questa nazione davvero ci viene da definirla estrema…estrema è l’apertura mentale con cui accoglie le multi-etnieche la abitano ma anche estrema ne è stata la lotta per l’integrazione, estrema nel cercare di rendere egualitari i diritti di ogni singolo individuo, bianco o nero, etero o omosessuale, multi etnia New Yorkebreo ortodosso o mussulmano , ma continuando a favorire una sanità e un’istruzione basata sul dollaro e sul background socio-culturale, estrema nella libertà di parola, di espressione e di culto, al punto tale di permettere ancora oggi agli appartenenti del Ku Klux Klan di lanciare quotidianamente slogan razzisti, estrema nella considerazione per meriti e non per apparenza dei suoi lavoratori fino a vietare l’esposizione della fotografia nel curriculum vitae ma allo stesso tempo capace nei colloqui di utilizzare il livello di influenza nei social network, tramite Kluot.com, come linea guida alla base di nuove assunzioni, estrema nel permettere l’accesso alla più nota e incredibile arte del mondo ad offerta libera ma allo stesso tempo proporti di pagare un carnet CityPass per le medesime cose a “soli” 99$,  estrema nel regalare green card sotto forma di lotteria a milioni di persone e poi di permetterti, se il tuo biglietto non è quello fortunato, alternative come quella di aprire un’attività con un investimento minimo di un milione di dollari o con un socio americano, o meglio ancora di trovare marito o moglie made in USA.

Come avevamo anticipato, c’è di bello e c’è di brutto, ma vi assicuriamo che questo è uno spettacolo da non perdere specialmente se osservato nella sua tridimensionalità, se guardato non solo dal basso ma anche dall’alto dei suoi grattacieli …..il tutto con occhi giusti….perché  è questo che in fondo fa la differenza.

Skyline Manhattan di notte

Così si arriva a fine giornata, la luce del giorno ci da la buona notte….ma quella di New York è ancora accesa…..

Buona Notte!

I ragazzi sono in giro!

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L’idea di dover cambiare per l’ennesima volta lingua, cultura e abitudini, non solo ci aveva preoccupati, ma anche spaventati…sarà perché il ritorno è davvero ormai vicino, sarà perché l’esperienza in Cile, pur mettendoci a dura prova, ci ha lasciato tanto, sia in termini di vita che di rapporti.

Ma poi eccoci arrivati a New York City…la “Grande Mela”!

Zaini in spalla e via subito di autobus e metro fino a Washington Heights, quartiere a nord di Manhattan, dove essendo abitato prevalentemente da domenicani, la lingua madre è lo spagnolo, cosa che ci ha fatto sentire ancora un po’ nella nostra casa sud americana.

New York è capace di incantarti al primo sguardo, con i suoi interminabili palazzi, le sue luci sfavillanti e soprattutto la sua gente.

Times SquareGente giovane, sempre in movimento, rigorosamente a passo di musica, con auricolari attaccati ad un “iQualcosa” onnipresenti un po’ per caricarsi un po’ per evitare pazzi e discussioni.

Una città dove è difficile capire chi è turista e chi cittadino, poiché i nove milioni e più abitanti che la compongono provengono da ogni angolo del mondo.

E così ti ritrovi in un ristorante thailandese, a Little Italy, a parlare in inglese ad un’amica indiana…

Statua della Libertà

Vivere a New York è come premere play e iniziare la visione di un film, fatta dalla chiassosa Times Square o da una pennichella pomeridiana a Central Park, dallo shopping sulla 5th Avenue o da una partita a basket per le strade di Harlem, dall’emozione nell’attraversare per la prima volta il ponte di Brooklyn o dal vedere il tramonto illuminare di fuoco, il cielo e il mare dietro alla tanto conosciuta Statua della Libertà.

Ti senti davvero in un film, di cui però questa volta sei tu regista e protagonista, in cui ogni giorno sei l’autore di una nuova trama.

We ♥ New York!

¡hasta luego!

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Abbiamo appena finito di fare gli zaini…..e ogni volta, questo comporta fare il punto della situazione, e questa volta farlo non è facile. Qui abbiamo trovato una famiglia, degli amici, persone con cui condividere non solo un pezzo di strada del nostro viaggio ma molto di più. Ed è proprio questo di più che rende ancora più faticoso il partire da qui. Ma ora, dopo aver salutato tutti, dopo la grande pizzata in “ capanna” con amici e caballeros, siamo pronti o comunque è arrivato il momento di andare. Il bilancio del Cile è assolutamente positivo, un periodo intenso fatto di tante sfide ma anche di tante sorprese. Da lunedì si cambia temperatura, lingua, paesaggio, cibo…..l’impatto sarà forte, ma ora siamo pronti ad affrontarlo, con l’immaginazione siamo già in mezzo ai grandi grattacieli o dentro alla metropolitana stipati come sardine…ma chissà come sarà veramente?!!!…Lunedì lo sapremo!

despedita

Ciao Cile, Ciao Compañeros…….Muchas gracias por todo!!!!

¡hasta luego!

Sole e pioggia…

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Carrellate di pensieri, parole che ci assaltano la mente nell’intento di dare una descrizione non superficiale ma profonda di questo Cile.

CordiglieraUn Cile per noi indimenticabile, per le persone incontrate, per la sua cordigliera che ogni giorno ci guarda…è davvero imponente…stupenda, e per la sua “Storia”. Una storia ripetuta in tutto il sud America ma noi l’abbiamo vista e ascoltata qui. Attraverso la visita del museo della memoria e del diritto umano, ci siamo potuti immergere per 4 ore in un’altra epoca, l’epoca della dittatura, l’epoca della destra o sinistra, l’epoca dei calpestatori dei diritti, della vita il tutto fatto in silenzio, l’epoca in cui era consentito esprimere una sola idea altrimenti magicamente si scompariva.

L’epoca in cui sono state torturate, e fatte scomparire migliaia e migliaia di persone, la maggior parte di 25-30 anni, universitari, musicisti e letterari, poi successivamente tra i 50 e i 60 anni, professionisti e gente semplice, accomunati tutti dalla medesima colpa di avere un’ideale contrario. Una sola politica, una sola idea, un solo partito…o dentro o fuori.

Il fuori consisteva nel fuori dal mondo, fuori da tutto ciò che è catalogabile come vita.

Abbiamo avuto la fortuna di poter incontrare persone che hanno vissuto l’incubo del golpe, in primis i nostri cavalieri della strada, poi un ragazzo con un coraggio da vendere e tanti peli sullo stomaco, che un giorno stanco di vedere ha deciso di agire, ed è arrivato fino a New York per denunciare il Cile, il suo paese, la sua patria,che ancora oggi non tutela e rispetta i diritti umani, perché ancora oggi c’è chi muore di fame, chi non ha un tetto sotto il quale riposare,chi viene emarginato,chi non ha diritto ad una cultura, chi ha voce ma non può parlare. Si, purtroppo dentro alle bellezze del Cile c’è anche tutto questo. La cosa più incredibile, è che chi non ha ricevuto un istruzione, ragazzi di 30 anni, non sanno niente di tutto, oppure hanno una visione assolutamente distorta di tutto quello che i loro genitori i loro coetanei hanno dovuto sopportare. Villa GrimaldiIeri sera parlavo con una signora sulla sessantina, gli stavo raccontando della nostra visita a Villa Grimaldi, centro di tortura e assassinio di migliaia di persone, situata sulla strada principale del nostro quartiere, con porte aperte a chiunque, e con ingresso libero dove almeno una volta all’anno fanno una commemorazione di chi c’era e c’è ancora, di chi ha sopportato e di chi oggi non c’è più. Mentre le parlavo mi ha guardata dicendomi, “io non ci sono mai stata”, e come lei tanti altri uomini e donne, ragazzi e ragazze che forse ne conoscono solo il nome e niente di più. Perché? Non per ignorare o dimenticare ma semplicemente perché nessuno li ha mai resi consapevoli, attraverso la trasmissione di saperi e valori, delle loro radici e dei loro trascorsi.

Ancora oggi, l’importanza della leva militare è predominante sull’importanza di favorire una coscienza sociale che promuove la scelta di una risoluzione dei problemi perpetrata non con armi e violenza ma con parole e cuore, perché il dialogo o il confronto reciproco non siano visti come un indottrinamento ma come uno scambio di pensieri, punti di vista volti ad un arricchimento comune.

Negli anni 70 per molti era impossibile vedere e sentire ma oggi, nel 2012, le bende dagli occhi sono state tolte e il ricordo non deve essere solo sofferenza ma uno stimolo che spinge a conoscere, sapere, abolire e promuovere, oggi chi vuole può ascoltare anche le voci di chi ha vissuto in silenzio, tutto è possibile ma bisogna volerlo e favorirlo in un ottica comunitaria.